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Musica

La musica: un patrimonio italiano che le istituzioni continuano a sottovalutare

Perché il paese che ha dato i natali all’Opera non ha ancora istituito “La musica”, come materia fondamentale in tutte le scuole secondarie e superiori?

“Senza musica la vita sarebbe un errore”. Questo breve aforisma di Frederick Nietzscheesprime, in maniera molto semplice e diretta, l’importanza della musica quale strumento di evoluzione culturale e spirituale della specie umana. Eppure sarà capitato a tanti musicisti non ancora professionisti di sentirsi dire: “Gran bella cosa la musica, ma che lavoro fai?”

Tali affermazioni di solito creano un senso di fastidio e anche un po’ di umiliazione, poiché il proprio progetto di vita, pur se non conforme alle convenzioni professionali socialmente riconosciute, è istintivamente retrocesso al grado di “hobbie”. Se è vero che molti si dedicano allo studio di uno strumento musicale per passione, è vero anche che tanti altri cerchino ostinatamente il traguardo del successo o semplicemente di un’ambizione professionale, capace di coniugare il dovere con il piacere. Eppure noi viviamo in Italia; il paese che ha regalato al mondo l’Opera, il bel canto, Puccini, Verdi, Mascagni, Rossini, Morricone, Dalla, Battisti, Di Giacomo etc. etc.

Ciononostante l’Italia è uno dei paesi che, attualmente relega la musica ad un livello di arte secondaria o meno influente. 

Colpa della politica, dei mass media o della società?

In ognuno di questi soggetti compare il capitale umano e dunque, siamo tutti colpevoli: le istituzioni che non aiutano gli enti preposti alla formazione e diffusione della musica, ma soprattutto i vari “noi” operatori e appassionati che abbiamo accettato e, in certi casi ignorato, questa grave involuzione culturale.

I musicisti spesso prendono di mira l’indifferenza della classe politica e nuovi modelli che vengono spinti dalle grandi industrie discografiche, dal Webe dalla Tv, perché è necessario scorporare l’essenza dei cattivi maestri, per rivelarne la debolezza semantica e stilistica.

Molti però non si soffermano del fatto che i modelli che gran parte dei media cercano di veicolare sono sempre quelli il cui valore sociale è universalmente riconosciuto. Perciò avremo sempre poliziotti, medici, giudici e avvocati su cui raccontare storie, mentre quando si parla di musicisti, di solito si utilizza lo stereotipo del ribelle o di quello che vive fuori da ogni sistema: “perché è un artista…..

Ma che vuol dire essere un artista?

Qual è il valore di una parola che richiama alla creazione di un’idea, messa in bocca a un personaggio che viene chiuso in una casa o un’isola, per essere spiato assieme ad altri illustri sconosciuti?

Fino a poco più di venti anni fa si parlava di “Educazione musicale”;un compendio di poche ore settimanali riservato alle scuole medie, dove generazioni di giovani menti in età puberale venivano sottoposti ad un’omologazione melodica forzata al suon di Fra Martino, Inno alla gioiae in alcuni casi, la celebre “canzone della Barilla” (Hymnedel compositore grecoVangelis). Lo strumento di “tortura” era sempre lo stesso; il flauto dolce, ma vi era anche l’opzione “diamonica o melodica”.

Non si vuole mettere alla berlina, ovviamente, la bellezza del suono del flauto, però il pragmatismo della comodità si scontra con tutto ciò che prevede il linguaggio artistico e lo stesso libero arbitrio dei ragazzi i quali, mossi più dalla noia che dal dovere, finiscono per odiare uno strumento capace di grandi evoluzioni sonore, ma soprattutto una disciplina che potrebbe aprir loro la mente, lo spirito e soprattutto l’abitudine all’universalità del linguaggio artistico. L’origine di un certo pregiudizio riguardo alla formazione musicale possiede origini “risorgimentali”. 

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