Cultura

Chernobyl: quando una serie TV aiuta a riflettere

La serie HBO sul disastro nucleare del 1986 offende la Russia e fa parlare il resto del mondo.

Da ormai alcuni anni il mondo delle serie TV ha smesso di essere considerato una realtà di serie B e si è guadagnato il suo posto d’onore accanto al cinema. Un tempo legato nell’immaginario comune a prodotti di puro intrattenimento e bassa qualità, negli ultimi tempi il mondo della serialità ha conosciuto una rivalutazione notevole, grazie a una maggiore attenzione tecnica, una pluralità di temi e investimenti consistenti da parte delle emittenti.

Proprio questo clima ha permesso la genesi di prodotti come Chernobyl, una serie intelligente, curata nei minimi dettagli e in grado di suscitare un dibattito a livello internazionale. La serie racconta il più grande disastro nucleare mai avvenuto attraverso una ricostruzione storica accurata e pone al centro le reazioni umane di fronte al disastro, con un crescendo di angoscia e interrogativi. La domanda cardine su cui si regge la serie è una: qual è il prezzo delle bugie? 

La serie ha inizio proprio la tragica notte dell’incidente, avvenuto all’1:23 del 26 aprile 1986 e racconta gli avvenimenti attraverso la voce di personaggi reali e inventati. Dal punto di vista tecnico la serie è di altissima qualità, a partire dalle scelte registiche fino a quelle di musica e scenografia e, attraverso la mano del regista Johan Renck, è in grado di trasmettere un senso di profonda angoscia. Ma è sul lato umano che il suo ideatore, Craig Mazin, ha deciso di soffermarsi. Sullo schermo le esplosioni e gli effetti da disaster movie trovano pochissimo spazio, sostituiti dal racconto delle vicende personali di chi si trovò a vivere la tragedia. Quello che questa serie intende raccontare è il prezzo terribile delle bugie che gli esseri umani raccontano a se stessi e agli altri, sperando di non dover mai fare i conti con le conseguenze delle loro azioni. Tutta la narrazione è pervasa dal desiderio di negare l’evidenza, di non ammettere l’errore umano, sperando che il problema semplicemente cessi di esistere, fino ad arrivare al punto in cui si sceglie di dire la verità, quando il dramma ormai si è compiuto. Pripyat venne evacuata solo 36 ore dopo il disastro e il governo sovietico ammise ufficialmente l’emergenza il 28 aprile, ben due giorni dopo, ritardando così gli interventi per arginare i danni. La paura di uno scandalo si rivelò più forte del bisogno di limitare le già terribili conseguenze. 

(da: pixabay.com)

La serie mostra senza mezze misure gli atroci effetti delle radiazioni sugli esseri umani, la sofferenza di chi si ammalò e morì in breve tempo e di chi invece continuò a vivere per mesi o anni sapendo che, prima o poi, avrebbe pagato l’inevitabile prezzo della tragedia. Nonostante quello di Chernobyl sia riconosciuto come il più grande disastro nucleare della storia, l’Unione Sovietica ammise solo 31 morti nei suoi comunicati ufficiali, dimenticando le migliaia di persone che sarebbero morte negli anni a venire a causa delle conseguenze delle radiazioni. Le stime reali partono dalle 4.000 vittime fino ad arrivare addirittura a 93.000. Ancora oggi i registri ufficiali russi ne riconoscono solo 31. Per questo motivo la serie, ricostruita in maniera così accurata, ha scatenato le ire del governo russo che ha lamentato una visione di parte che metterebbe in cattiva luce il paese. Alcune voci si sono alzate a chiedere addirittura il divieto di trasmissione sul territorio nazionale ed è stata annunciata un’altra serie, questa volta russa, che racconterà il disastro da un’altra prospettiva.

Il dibattito suscitato dalla serie e gli interrogativi che pone sono quantomai attuali nel mondo di oggi, in cui le posizioni politiche si vanno estremizzando e troppo spesso il desiderio di ottenere consensi viene messo davanti all’etica e perfino alle vite umane. La stessa reazione del governo russo, a distanza di più di trent’anni dalla tragedia, è una manifestazione di questo problema. Nel mondo dell’informazione sempre a portata di mano e delle fake news, troppo spesso diffuse anche da figure pubbliche, sarebbe il caso di domandarsi quanto tragiche possano diventare le conseguenze delle nostre decisioni e se davvero si possa considerare accettabile mettere la propria immagine davanti al bene comune.

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