Economia

TRAPPOLE IN FINANZA – LOSS AVERSION BIAS

Quando la paura di perdere pesa più del guadagno.

In finanza, anche gli investitori più esperti possono trovarsi in difficoltà nei momenti di maggiore incertezza. E non sempre è una questione di competenze tecniche. Spesso, a guidare le scelte è qualcosa di più sottile: la nostra mente. Come abbiamo visto nel precedente articolo, i bias cognitivi sono distorsioni sistematiche del pensiero che ci portano a prendere decisioni irrazionali. Oggi ne affrontiamo uno in particolare, che gioca un ruolo fondamentale soprattutto nei momenti di crisi dei mercati: l’avversione alla perdita.

Ma cosa significa, esattamente, “avversione alla perdita”? E perché è così rilevante per chi investe?

L’avversione alla perdita è un bias cognitivo che descrive la tendenza degli individui a percepire le perdite come psicologicamente più intense rispetto ai guadagni di pari entità. In altre parole, la sofferenza derivante dalla perdita di una somma di denaro è più acuta della soddisfazione provata per un guadagno equivalente. Questo fenomeno è stato approfondito dagli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky, i quali, nel 1979, hanno sviluppato la “Teoria del Prospetto” per spiegare come le persone prendano decisioni in condizioni di rischio. La loro ricerca ha evidenziato che le perdite influenzano il comportamento umano in modo sproporzionato, portando spesso a scelte non razionali come invece supponeva la teoria economica classica. Per il loro contributo pionieristico su questa materia, Kahneman ha ricevuto il Premio Nobel per l’Economia nel 2002.

Le conseguenze del loss aversion bias 

Questa dinamica psicologica non resta confinata ai libri di psicologia: si manifesta con forza nei mercati reali, soprattutto in momenti di alta volatilità. Infatti, per comprendere al meglio le conseguenze negative possibili di questa trappola cognitiva occorre un esempio concreto. L’impatto dell’avversione alle perdite si è visto durante il periodo dei dazi imposti dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump. Di fronte alla minaccia di una guerra commerciale con la Cina e all’improvvisa instabilità dei mercati, molti investitori si sono lasciati guidare dalla paura, vendendo in preda all’emotività. Nonostante i fondamentali di molte aziende rimanessero solidi, il timore di subire perdite li ha spinti ad abbandonare posizioni redditizie, con il solo obiettivo di “non perdere”, anche a costo di rinunciare a futuri guadagni. È proprio questo il cuore dell’avversione alla perdita: quando la paura di perdere qualcosa che già possediamo diventa più forte del desiderio di ottenere un guadagno, anche se razionalmente sappiamo che il mercato potrebbe recuperare.

Per chi investe, la paura di perdere può essere più dannosa delle perdite stesse. In momenti di incertezza economica, come quelli generati da tensioni geopolitiche, è facile farsi prendere dal panico e vendere tutto. Ma spesso è proprio in quei momenti che serve più lucidità.

Comprendere l’avversione alla perdita aiuta a riconoscere che certe reazioni non sono un segno di debolezza, ma fanno parte del modo in cui funziona la nostra mente. Tuttavia, sapere che esistono non basta: è fondamentale lavorare su una maggiore educazione finanziaria per affrontare con più consapevolezza le proprie scelte.

Un percorso di investimento equilibrato non si basa solo sui numeri, ma anche sulla capacità di gestire le emozioni. E in questo, il confronto con un consulente può fare davvero la differenza. Avere accanto una guida competente permette di pianificare con serenità, evitando decisioni dettate dal momento, e tenendo sempre lo sguardo puntato sugli obiettivi di lungo termine.

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