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COSA SUCCEDERÀ ALL’AFGHANISTAN?

L’inferno d’oro nella terra dei talebani e il disastro della democrazia.

Sembrerebbe paradossale che a distanza di venti anni dal primo attacco militare del XXI secolo siano ancora tanti a discutere sulla situazione in Afghanistan e su come risolvere una crisi che dura ormai da due decadi. La forma è sempre la stessa: un buon succo di diplomazia ben centrifugata con scaglie di sano liberismo, meglio se economico, da servire mediamente caldo, come il sole del deserto.

A questo calderone aggiungiamo un buon rimpallo di accuse e difese, capaci anche di cambiare posizione ideologica, ma alla fine il risultato avrà sempre lo stesso slogan: Noi esportiamo democrazia!

Eh si, perché è questo motto che, prima il mondo occidentale ma ora il dogma liberista e cosmopolita, viene promulgato come fosse una televendita e servito alle coscienze della nostra buona civiltà, mente procediamo a passo d’oca verso una consapevole e dolce estinzione morale.

Afghanistam, Iraq, Siria, Yemen, e poi Sud America e Africa non sono altro che lo specchio surreale di ciò che ancora crediamo di volere e poter cambiare; è questo non cessa da secoli.

Ora, allentato un po’ il discorso sulla pandemia, riaffiorano i vecchi amori a stelle e strisce, dal petrolio alle risorse energetiche; e cosa c’è di meglio di un ennesimo continente sconosciuto? Sconosciuto perché nonostante la maggior parte di noi ripudia le guerre, il nostro atteggiamento questi luoghi è più di pietà che rispetto.

Lottiamo per i diritti civili e umani dei paesi poveri, ma conserviamo l’immagine romantica e stereotipata che gli stessi siano giungle selvagge e deserti sterminati, pieni di animali selvaggi. Ci sentiamo in colpa ogni volta che accade qualcosa per volontà dell’uomo, ma non abbiamo ancora compreso che è il senso di colpa, innestato da chi ha perpetrato lo sfruttamento e lo sradicamento naturale e culturale di interi popoli, che giustifichiamo. Nel frattempo, le guerre si sono trasformate; da aggressione diventano di sfruttamento economico e sono più silenziose e spesso più mortali.

Un virus ha bloccato il mondo e solo le due più grandi potenze hanno continuato a prosperare, mentre i paesi poveri tali rimangono.

Dell’Afghanistan noi abbiamo imparato a conoscere i mujaheddin, i taliban, Kabul, Emergency e le tribù; ma non vi è solo petrolio e papaveri da oppio; il paese è ricco di risorse energetiche, tra cui il litio, che serve alle batterie dei cellulari e dei computer. Il litio tanto a caro ai nuovi magnati visionari tipo il signor Musk, che ha cercato di sfruttare sempre più avidamente il materiale in Bolivia. Guarda caso adesso il versante si sposta in Asia e la Cina corre in supporto ai Talebani e i suoi figli, molti dei quali non hanno mai conosciuto la pace, in futuro potrebbero non sentirne più neanche il bisogno, perché ci sarà un app specifica e poi tutto andrà in un video di 15 secondi su Tik Tok.

In tutto questo è l’Europa a stare a guardare; impotente e solitaria ma ostinata nel difendere la sua posizione; quella che pensa a come dialogare con i Talebani, perché ora vogliono dimostrare di essere “distensivi”;

L’Europa aspetta mentre i suoi rappresentanti continuano pedissequamente a dare un’interpretazione distorta della Shari’a, confondendola con le leggi tribali interne delle varie etnie; perché non ricordano che questi signori più di vent’anni sedevano già al tavolo delle trattative internazionali, imponendo la loro visione del mondo.

L’Europa attende mentre i vari movimenti sui diritti civili e femministi tacciono di fronte a un regime che ha un così basso rispetto della dignità umana.

L’Europa attende, protetta dietro un simbolico pass verde, le direttive su chi andare ad attaccare, con accuse e sanzioni, mente si piega e mette in mostra le “armi” della diplomazia verso i regimi più feroci e ipocriti della storia.

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