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LA VOCE DEL SILENZIO

Capita sovente che si tenda a parlare troppo, magari, inconsciamente, per riempire un vuoto, per nascondere una mancanza di fiducia in se stessi, per rafforzare o per mitigare i concetti appena espressi. Ciò non si verifica solo nella vita personale, ma, anche a livello professionale, si può affermare che sovente il silenzio si rivela d’oro.

Si tratta di una tematica molto ampia. Il silenzio favorisce l’ascolto di noi stessi e degli altri: pensiamo non solo alle interazioni, ma anche ai momenti in cui siamo chiamati a decidere, scegliere, riflettere prima di agire. Nei conflitti, nei momenti di tensione, di difficoltà, di stress, in situazioni cariche di emotività tutto diventa amplificato. L’ascolto, favorito dal silenzio, si trasforma in una grande cassa di risonanza che consente di accogliere pensieri altrui, osservare con attenzione, raccogliere i propri pensieri, prendere distanza dal contesto, allentare un po’ la tensione, relativizzare il tutto.

Per imparare a padroneggiare al meglio il silenzio ed utilizzarlo proficuamente, basterebbe applicare alcune basilari regole afferenti alla ‘buona comunicazione’, quali:                                                                                                       

  • imparare a tacere in un conflitto, infatti se la tensione sale non è utile assumere immediatamente una posizione netta. Ciò non significa non interessarsi alla situazione, ma serve per avere il tempo di pensare a quanto si vuole realmente dire, senza aggiungere parole inutili e potenzialmente fraintendibili; 
  • in una trattativa, dopo aver espresso chiaramente la richiesta, è bene rimanere in silenzio per consentire alla controparte il tempo di elaborare quanto ascoltato e di rispondere;
  • non ostinarsi in spiegazioni troppo dettagliate, ma sviluppare argomentazioni semplici e facilmente decodificabili.

Importante, però, è anche impedire alla nostra emotività di prendere il sopravvento: potremmo appuntare su un foglio o su un notepad ciò che vorremmo sostenere con impulsività e leggerlo qualche ora dopo per comprendere se davvero, a posteriori, si ritenga ancora necessario esprimere ‘quel concetto’ in ‘quel modo’ e in quello ‘specifico contesto’. Le parole, se scritte, hanno un impatto diverso, anche se sono nostre.

Sarebbe interessante anche decodificare efficacemente il silenzio degli altri dopo una nostra richiesta. Si potrebbe interpretare come ‘silenzio positivo’, in quanto induce il nostro interlocutore a riflettere, ad elaborare una risposta non automatica, non pronta, ma a scavare più nel profondo. In effetti ci sono domande che invitano più di altre a parlare, esporsi, come quelle aperte, esplorative per eccellenza: in tal caso il silenzio, dopo la domanda posta, risulta assolutamente necessario. 

Il valore di una risposta andrebbe misurato anche in base alla sua capacità di esercitare la massima discrezione e di praticare la virtù del silenzio. Tutto ciò non ha nulla in comune con l’omertà, nel caso in cui si ipotizzasse l’intenzione di accostare il silenzio, inteso come senso dell’opportunità e della misura al classico “non vedo, non sento, non parlo”. Il silenzio aiuta a sviluppare la capacità all’ascolto e all’osservazione che consentono di fornire un patrimonio inestimabile racchiuso nella diversità dei punti di vista. Guardando le cose da punti di vista diversi, il mondo appare diverso!

Non possiamo, infine, non considerare un fattore fondamentale: il silenzio favorisce empatia e rispetto. Dopo aver esposto le proprie idee, manifestato ciò che si pensa, rimanere in silenzio e dare spazio all’interlocutore affinchè esprima il proprio parere è testimonianza di rispetto ed empatia nei confronti di chi si ha di fronte, senza sottovalutare che i valori cardine di buona educazione e di buona comunicazione si fondano proprio su rispetto ed empatia: ecco che silenzio, comunicazione ed educazione costituiscono un circolo virtuoso, una sinergia di forze che contraddistinguono gli individui nella loro specificità e nella loro valenza culturale.

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