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Attualità

LE RADICI ANTICHE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE

di Tiziana Bosio

di Alfred Grupstra da Pixabay

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e il femminicidio è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1999 che ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza ed ha invitato governi, organizzazioni i internazionali, ong ad organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.

Anche se, secondo dati Istat, il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza, non vi è dubbio che la violenza , in un modo o nell’altro, riguardi quasi tutte le donne: ci sono le botte, gli stupri, gli omicidi, ma c’è anche la sopraffazione psicologica, subdola, strisciante, che demolisce e uccide quanto un colpo di pistola.

Chiunque si sia occupato di violenza maschile sulle donne sa bene che il fenomeno ha radici culturali profonde: oggi come ieri, la matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne e non è, dunque, un caso che la dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu parli di violenza di genere come di “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una condizione subordinata rispetto agli uomini”. Il movente “passionale o del possesso”, stando ai dati del Secondo Rapporto Eures sul femminicidio, continua ad essere il più frequente: “Generalmente, si rileva nel dossier, è la reazione dell’uomo alla decisione della donna di interrompere/chiudere un legame, più o meno formalizzato o comunque di non volerlo ricostruire”.

Non risulterà allora fuori luogo  focalizzare l’attenzione sulla “Carmen” di Georges Bizet  tratta dall’omonima novella di Prosper Mérimée e farne oggetto di una riflessione sul femminicidio: Carmen è la prima eroina dell’opera lirica ad essere assassinata  sulla scena; la sua è spesso stata interpretata come una sventurata storia d’amore tra due mondi allo stesso livello, i cui destini casualmente si scontrano. Leggere tuttavia l’opera in tale ottica equivale ad ignorare le strutture del potere sociale che le danno forma, poiché la “Carmen” è, di fatto , solo una delle molteplici proiezioni fantastiche che nel XIX secolo sottintendevano i concetti di razza, di classe sociale e gender: al centro della vicenda c’è una battaglia , quella tra i sessi, e, sin dall’inizio , la donna è individuata come il nemico. Più che esplicita l’epigrafe al testo della novella di Mérimée, tratta da un passo del greco Pallada, su ciò di cui parla la vicenda; “Ogni donna è amara come il fiele, ma ognuna ha due buoni momenti: uno nel letto e l’altro nella tomba”.

Lo stesso campo di battaglia, ossia il territorio che ossessiona soprattutto la scrittura di Mérimée, non è altro che il corpo della donna, poiché lungo l’evolversi della storia si presenta costantemente il  problema di chi lo possiederà. La Carmen dell’opera lirica è certamente “addomesticata e contenuta” rispetto allo stesso personaggio della novella di Mérimée: le attività criminali, per esempio il furto, sono omesse; Carmen , inoltre, non è più il capo dei contrabbandieri, ruolo assunto da Duncaire, alla cui autorità obbedisce; infine, se la Carmen della novella è anche una guaritrice che rischia la propria incolumità per salvare gli altri e la sua intelligenza  emerge dal suo modo diretto di conversare, il personaggio che emerge dall’opera  agisce quasi esclusivamente seguendo il modello della “femme fatale”: la sessualità  molto enfatizzata nella novella,  costituisce praticamente la sua sola caratteristica nei primi due atti dell’opera.

Il suo fascino, non di meno, è il fascino di Satana, di fronte al quale Don José, giovane brigadiere innamorato  perdutamente, non ha difese, perciò non può essere giudicato responsabile delle sue azioni. Quando Carmen gli dice che dovrebbe lasciarla perché lei sarà la causa della sua impiccagione, lui non è in grado di separarsene , perchè lei lo ha stregato. Ucciderla, quindi, diventa un atto finale di disperazione: l’atto necessario per ristabilire ordine e controllo. Insomma, Don Josè deve essere compatito e Carmen biasimata.

Non è affatto logico, però, che Carmen meriti di essere stigmatizzata: le si attribuiscono caratteristiche che in altre circostanze sarebbero state degne di lode e, in verità, autenticamente maschili. Il crimine per cui la donna è arrestata: lo sfregiare il volto di un’altra donna, a quell’epoca, non sarebbe stato inteso come tale se commesso da un maschio. L’onore e l’integrità di Carmen sono messi in discussione dalle altre donne, le quali la accusano di essere una prostituta: come un qualsiasi uomo, Carmen reagisce con forza e si difende prontamente con la sua arma. Dopo l’arresto, per poter fuggire, Carmen  usa la tecnica di stabilire un legame con Don José. La percezione di  aver contratto un debito con lui per averla lasciata fuggire la porta, all’inizio, a pagarlo con una moneta a lei congeniale. Per Don José, tuttavia, il mezzo preferito di scambio è il possesso, non la libertà. Qui sta il fraintendimento tra i due, Carmen pensa che ciò che ha concesso liberamente per ripagare quanto considera un obbligo, la liberi dall’obbligo stesso. Don José, al contrario, considera il suo comportamento come segno del fatto che ora egli possiede Carmen e che la donna sia in debito verso di lui per sempre.

Sono passati 171 anni dalla pubblicazione della “Carmen” di Mérimée; ne sono passati 131dal debutto della “Carmen” di Bizet, eppure, da allora, nulla sembra sia cambiato: se alla luce degli studi condotti sulla violenza di genere sarebbe riduttivo pensare che tutto sia  legato alla corporeità, bisogna riconoscere che, purtroppo, la violenza si annida nelle relazioni, nell’idea del possesso degli uomini nei confronti delle donne, nella loro incapacità di gestire abbandoni e sconfitte. Comprensibile, pertanto, che la convenzione di Istanbul, all’art.14, preveda l’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado dell’educazione all’affettività e che il Consiglio d’Europa abbia formulato l’ulteriore invito di tenere in considezione le trasformazioni sociali e passare, quindi, dall’educazione sessuale a quella sentimentale che la contempla al suo interno.

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