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Attualità

Dietro ad una finestra

In un mondo moderno in cui la parola virale ha sempre avuto un’accezione positiva e in cui ogni notizia, pensiero, foto si diffonde ad una velocità ineccepibile, quasi più di un raffreddore, ora che è davvero un virus a essere contratto da centinaia di persone al giorno, la nostra quotidianità ha assunto un valore del tutto diverso.
di Arianna Bardinella

Nel primo giorno di primavera, gli uccelli hanno iniziato a cinguettare e ad avvisarci del loro ritorno dal grande continente africano. Le magnolie perdono i fiori violacei e lasciano i giardini con tappeti vellutati, le grida dei bambini rimbombano nelle trombe delle scale e nei giardini condominiali, il sole splende e invita la pelle ad abbronzarsi un po’. Tutto è bellissimo, tutto dietro a una finestra però.

I bambini giocano in case separate da cancelli di ferro e chiedono ai genitori il perché di quella barriera. Come nel libro “Il bambino col pigiama a righe”, i piccoli si guardano dietro a un ostacolo e con l’ingenuità dei loro occhi non vedono il danno del giocare insieme. Però in questo libro della storia non si tratta di essere ebrei o tedeschi, non si tratta di essere in guerra, o almeno non tra persone, ma di uno scontro mortale tra l’umanità e un microscopico virus, tra la scienza e la velocità con cui si diffonde la malattia, tra l’egoismo delle persone e la vulnerabilità di altre. In una realtà in cui non si è abituati al sacrificio, alla pazienza, al pensare al bene altrui prima del proprio, la vera battaglia è quella con se stessi.

“La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti”. Così enuncia l’articolo quattro della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” fin del 1789 della Francia rivoluzionaria. Tale concetto dovrebbe valere ancora adesso e il sentirsi parte di un popolo dovrebbe dipendere dalla serenità dell’intera comunità e non del singolo, dal diritto alla vita dipeso anche dalla salute comune, dalla libertà di scegliere di stare a casa per salvare gli altri. Molti non hanno mai avuto paura del cambiamento climatico, dell’incendio in Australia, della guerra in Siria, perché tutto era lontano e non ci toccava. Ora si sente suonare l’inno d’Italia almeno cinque volte al giorno, tra radio, video sui social e stereo ad alto volume di vicini di casa… il senso di unione si percepisce solo quando si è davanti ad un nemico comune, in questo caso un nemico invisibile, che fa danni come se fosse davvero una guerra, danni economici, sociali, mortali… è un danno che toglie tempo, toglie amori e familiari, toglie la possibilità di dire addio ai propri cari, di vivere gli ultimi anni di liceo o gli ultimi anni da anziano, che obbliga a un lavoro doppiamente frenetico per tutti… in un mondo come il nostro in cui scorre tutto senza freno, l’immobilità totale porta alla pazzia e costringe le persone a trovare metodi alternativi per continuare a rincorrere il tempo che scappa ancor di più. 

Piano piano tutto il mondo ne sta risentendo e gli italiani non sono più visti come gli untori da evitare. Anche l’America inizia a smuoversi e il sindaco di New York ha inviato un appello ai suoi cittadini con una foto simpatica, che nella sua ironia è devastante: il celebre volantino dell’uncle Sam dell’I want you” della Prima Guerra Mondiale è stato riproposto con un medico come protagonista che chiede ai colleghi di unirsi alla sua battaglia. La storia si ripete e la sua ciclicità delle volte spaventa, ma sarà così fino a quando non si sarà in grado di imparare dagli errori già compiuti.

Tuttavia, c’è un lato positivo, come in tutto, bisogna solo saperlo vedere e apprezzare. Stare a casa dà la possibilità di passare più tempo in famiglia, di cucinare qualcosa di innovativo a ogni pasto, di leggere i grandi classici che non sia ha mai l’occasione di sfogliare, di studiare quello che non c’è mai il tempo di approfondire. Dà un senso di comunità, di civiltà che non si sentiva da un po’ e non si tratta nazionalismo, è il sentirsi cittadino responsabile che sa qual è il suo compito per lo Stato e che dà il suo supporto anche solo dal divano di casa. Leopardi ha creato la sua poesia dietro ad una finestra, ha descritto il suo infinito, ora tocca a noi saper immaginare cosa c’è dietro a quella siepe che ci impedisce di vedere l’orizzonte e di saper naufragare in questa tempesta il più dolcemente possibile. 

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