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Antropologia

Superstizioni: perché ci crediamo ancora?

Sfatate, dimenticate e riaffermate, le superstizioni hanno giocato (e giocano tutt’ora) un ruolo fondamentale nella cultura di massa di molte popolazioni.

Spinto dall’esigenza di spiegare fenomeni incomprensibili, l’uomo si è ritrovato a formulare convinzioni spesso irrazionali fino a quando scienza e alfabetizzazione hanno fornito risposte plausibili all’inspiegabile. Allora perché crediamo ancora alle superstizioni?

Per Stuart Vyse, noto psicologo e autore inglese, le superstizioni sono il naturale risultato di processi psicologici come la tendenza alla creazione di rituali contro i nervi e l’impazienza o la necessità di affrontare l’incertezza. 

C’è anche chi parla di effetto placebo. Convincersi dell’esito positivo di un rito può aiutare ad affrontare certe situazioni, ma attenzione al rovescio della medaglia: vincolare la propria esistenza alle credenze irrazionali per evitare gravi pericoli non è mai cosa buona. 

Credere diventa anche consuetudine perché abituati a farlo fin da piccoli; ed ecco che nel XXI secolo ci si ritrova a fare le corna o a toccare ferro. Così le convinzioni si trasformano in rituali e i rituali diventano gesti automatici fatti senza sapere bene il perché. 

Eppure, oltre alla logica semplicistica del ‘porta bene/porta male’, ogni superstizione ha una precisa motivazione, spesso anche più di una: 

Aprire l’ombrello in casa. In passato, le persone con problemi economici tappavano i buchi sui tetti con gli ombrelli per non far filtrare l’acqua. Diventato simbolo di povertà, aprire un ombrello in casa attirerebbe miseria nella dimora. 

Passare sotto una scala. La scala (aperta o appoggiata sul muro) forma un triangolo, figura che rimanda alla Trinità. Attraversarla spezzerebbe la sacralità del simbolo. 

Gatto nero. Nel Medioevo il gatto nero era associato alle streghe per il suo colore e per l’abitudine di girovagare di notte.

Spesso i cavalli venivano spaventati dai gatti che attraversavano la strada all’improvviso, provocando non pochi incidenti. 

Cornetto. È considerato un valido portafortuna grazie alla sua forma, emblema di virilità e forza. 

Pane capovolto. Il pane capovolto porta male! Due le motivazioni che avvalorano la sentenza: la prima è di stampo religioso e vede nel pane la rappresentazione del corpo di Cristo; capovolgerlo è una mancanza di rispetto. 

La seconda ha a che fare con i boia, personaggi odiati da tutti anche dai fornai che preparavano per loro del pane fatto con scarti e lo mettevano poi capovolto per distinguerlo da quello buono. 

Sfatate, dimenticate e riaffermate, le superstizioni, dunque, resistono. E anche se oggi la fortuna è semplice casualità, appendere al chiodo gli amuleti è ancora difficile. Del resto, come insegna Peppino De Filippo: non è vero, ma ci credo! 

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