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Arte

Statue, monumenti e distanza storica

L’abbattimento e decapitazione di monumenti pubblici raffiguranti figure chiave del passato coloniale si sta affermando come pratica simbolica di conflitto da parte del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti, sollevando il dibattito anche in Europa.

Un tema che sta emergendo nel dibattito è legato in questo senso alla valenza dei monumenti pubblici come documenti “storici” e come simboli di potere, discrimine della condanna al gesto politico “estremo” della loro rimozione o danneggiamento. Perché abbattere la statua del generale confederale Lee e non quella di un Marco Aurelio o la colonna Traiana?Esiste un problema di “distanza storica” ed uno di tipo artistico: entrambi ampiamente sottovalutati nel dibattito in corso.

Da un lato i monumenti e la memoria storica sono oggetto di conflitti fra gruppi sociali dominanti e subalterni nel presente, e in questo senso non sono tutti uguali. Alcuni ci sono ancora “troppo vicini” e concentrano su di sé una funzione simbolica ancora “viva” come dispositivi di celebrazione pubblica degli oppressori sugli oppressi, di una cultura dominante che riproduce la sua superiorità su di una in via di emancipazione. Il discrimine è la connessione di un monumento celebrativo, nel presente, con l’ideologia (in questo razzista e discriminatoria) di un’élite al potere, come quella suprematista bianca negli Stati Uniti.

(da: pixabay.com)

La colonna di Traiano, celebrazione della vittoria dell’impero sulla Dacia, è stata in questo senso espressione, allo stesso modo, di un’oppressione militare e della riduzione in schiavitù di un popolo. La differenza è che quella costellazione di significati non si collega più all’ideologia di un’élite e non esprime quindi una funzione ancora attuale di riproduzione dei rapporti di forza come quelli dell’epoca imperiale romana.

Dall’altro c’è una dimensione di “distanza artistica” dei monumenti storici: la cultura e l’arte nel mondo occidentale sono talmente intrise del suo passato coloniale che credo non si salverebbero molti nomi e opere al test sulle loro radici razziste e discriminatorie. Come scriveva Walter Benjamin nelle sue tesi sul concetto di storia, ogni documento della cultura passata è anche, a volte soprattutto, testimonianza della barbarie che l’ha prodotto. In questo senso la costruzione di un nuovo senso comune e di una “civiltà” passano in primo luogo dalla coscienza della loro “distanza”, storica e artistica, attraversi cui farne appunto dei “documenti” a memoria di un passato che è stato sconfitto, delle opere d’arte svuotate dal loro originale significato politico e sociale, e magari risemantizzate per sviluppare e costruire consapevolezza storica. 

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