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Politica

La fine della maggioranza popolare e socialdemocratica al Parlamento di Strasburgo e la dialettica delle destre in Europa

Finisce l’epoca della maggioranza popolare e socialdemocratica al Parlamento europeo. I risultati del voto europeo hanno visto la crescita delle destre liberali e populiste, corrispondente al crollo dei due gruppi, il PPE (partito popolare europeo) e S&D (socialisti e democratici) che hanno storicamente espresso le forze di maggioranza all’interno dell’emiciclo di Strasburgo.

Le ultime simulazioni disponibili portano a un totale 319 seggi assegnati al gruppo del PPE e di S&D, ben lontani dalla soglia di 376 seggi necessaria per ottenere la maggioranza assoluta all’interno del Parlamento. Le due formazioni tradizionali della politica europea perdono insieme 106 seggi rispetto alle elezioni del 2014: per la precisione 50 i S&D e 56 il PPE. Terreno perso a vantaggio della destra liberale del gruppo ALDE (alleanza europea dei liberali e democratici), che da 68 seggi del 2014 passa a 115, accreditandosi come la terza forza nel Parlamento europeo e vero ago della bilancia nella composizione della prossima maggioranza parlamentare. Insieme ad ALDE, infatti, i popolari e socialisti raggiungerebbero 421 seggi, aprendo ad una nuova maggioranza a tre, con un protagonismo inedito della destra liberale a rafforzare quella popolare e conservatrice del PPE. 

La formazione di una maggioranza alternativa a sinistra, con il gruppo della sinistra europea, i socialisti e i verdi non avrebbe i numeri, fermandosi a 258 seggi. Anche l’ipotesi di una maggioranza della destra “sovranista” è del tutto scongiurata, per quanto proprio le forze euroscettiche e nazionaliste siano quelle ad avere guadagnato terreno. Un fronte conservatore-nazionalista composto dai nazionalisti di ENF (i cui azionisti di maggioranza sono il Rassemblement National di Le Pen in Francia e la Legain Italia), dal gruppo EFDD (Europa della libertà e della democrazia diretta) e il gruppo dei conservatori e riformisti (l’ECR, in calo rispetto al 2014) si fermerebbe a 179 seggi. Anche nell’ipotesi di un accordo con i popolari europei, i seggi totali non supererebbero i 357. Un’alleanza improbabile non solo sui numeri, ma anche per via della ferma opposizione di una parte maggioritaria del PPE a ogni ipotesi di accordo con le destre estreme dell’ENF e i populisti dell’EFDD. 

Il primo vincitore a livello europeo che emerge da queste elezioni è quindi senza dubbio il gruppo ALDE che, come annunciato dal suo presidente Guy Verhofstadt nel corso della campagna elettorale, si scioglierà formalmente per attestarsi, insieme al movimento di Macron, come nuovo gruppo centrista europeista. Una forza che si delinea interlocutrice diretta della componente moderata ed europeista del PPE, lontana dal nazionalismo di Orbàn. I socialisti e democratici si ritroverebbero in tale quadro nella morsa di una maggioranza parlamentare a trazione centrista e liberista: uno scenario che rafforzerebbe ulteriormente l’ala moderata interna al gruppo S&D e al partito socialista europeo (PSE), incarnata bene nel profilo del suo Spitzenkandidat,l’olandeseFransTimmermans, già vice presidente della Commissione. /

 La dialettica politica che si profila dopo il voto europeo è quindi quella interna a due destre che si affermano le forze dominanti in Europa: una destra europeista – che intende innovarsi pur nella sostanziale continuità con le politiche economiche e di rigore degli ultimi 10 anni -, e una destra nazionalistica che, sebbene non sfondi a Strasburgo, trionfa in Paesi cardine dell’Unione – come in Francia, Italia -, e si riafferma nel Regno Unito, in Polonia e in Ungheria, mentre vede crescere i suoi consensi particolarmente in Germania (con l’estrema destra di AfD che arriva all’11%) e nell’Europa centrale e orientale. Una polarizzazione europeismo/anti-europeismo che si gioca quindi sul campo di principi e obiettivi definiti dal discorso delle destre. Da una parte, quindi, un europeismo che in tal modo coincide con la riaffermazione del progetto di integrazione europeo sulla premesse delle regole e vincoli che ne hanno determinato la crisi, con un rafforzamento dei processi di convergenza economica, finanziaria e fiscale basati sulla disciplina del mercato. Dall’altra una “Europa dei popoli”, la cui narrazione dominante è quella delle destre nazionalistiche di Le Pen e Salvini, che mira a costruire un nuovo compromesso fra capitale e lavoro attraverso una combinazione contradditoria di misure di ispirazione liberista (la flat tax ne è l’esempio migliore) e di Workfare State, senza alcuna messa in discussione dei sistemi produttivi nazionali, il tutto tenuto insieme da un discorso nazionalistico identitario, escludente e discriminatorio verso i migranti e i marginali. 

 Un campo egemonizzato dalla contesa transnazionale fra due destre che toglie il terreno sotto i piedi delle forze politiche delle sinistre radicali che scontano complessivamente l’esaurirsi di un ciclo espansivo, arrestatosi di fronte alla sconfitta nella contesa del campo ‘populista’ alle destre, come per Mélenchon e France Insoumise, o a seguito di un’esperienza di governo eterodiretta dalla Troika, come Syriza in Grecia, o ancora indebolite dal rinnovamento dei partiti di centro-sinistra e dalle scissioni interne, come Podemos in Spagna. A emergere come forza alternativa è l’ondata dei verdi, che ha coinvolto però prevalentemente la Germania e l’Europa del Nord, senza scalfire l’est e il sud del Continente. Uno spinta che probabilmente deve molto al risveglio dell’ecologismo militante dell’ultimo anno, ma la cui traduzione in una visione e programma di sistema del processo di integrazione europeo appare dubbia. La diversità dei profili ideologici interna al mondo dei partiti ecologisti europei e il suo riflesso nelle posizioni spesso contrastati sui temi economici all’interno del Parlamento europeo, rendono storicamente i verdi europei una forza priva di una direzione e visione chiare in ambiti diversi da quelli ambientali.

In conclusione, lo spazio politico europeo vede affermarsi la polarizzazione fra europeismo e anti-europeismo sul campo egemonizzato dalle due destre dominanti: quella di matrice liberista e quella nazionalistica. Un asse del conflitto che consentirà l’ulteriore rafforzamento ed espansione delle seconde, se le forze di alternativa delle sinistre e degli ecologisti non saranno in grado di elaborare un progetto contro-egemonico di lungo periodo, sulla premesse di un’autocritica spietata delle proprie sconfitte e limiti.

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