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Cultura

Eltjon Bida: l’accoglienza deve essere anche educazione

La storia di un migrante costretto a scappare dall’Albania per trovare opportunità di lavoro in Italia. È una testimonianza autobiografica raccolta in un libro per raccontare le difficoltà e le gioie vissute durante il viaggio della speranza

Il viaggio comincia quando si sente l’esigenza di lasciare il proprio Paese perché è impossibile pensare a una vita futura; l’unica soluzione è abbandonare la terra di origine per trovare nuove soluzioni altrove. È proprio questa consapevolezza dovuta alla scelta obbligata di partire, la riflessione ricorrente contenuta nel libro di Eltjon Bida C’era una volta un clandestino, pubblicato da Editrice Policromia (PubMe), Martina Franca (TA) 20/12/2018, pagine 478. Il racconto autobiografico, ambientato negli anni ’90, si trasforma in una porzione di vita da leggere, perché emergono le vicissitudini affrontate durante il viaggio, senza tralasciare la sistemazione da trovare appena arrivati in Italia: cercare un lavoro e una casa per vivere. Eltjon Bida, scappato dall’Albania, sfida il padre che lo reputa ancora bambino per fuggire dalla sua nazione e intraprende con coraggio la sua decisione: lasciare il proprio Paese pertrovare lavoro e cambiare la prospettiva di vita.L’autore ricorda nel libro la stupenda accoglienza ricevuta dai sui datori di lavoro in Italia e l’inconvenienza di qualche parola offensiva nei suoi confronti che resterà nel suo bagaglio culturale dei ricordi. Eltjon Bida tiene a sottolineare la possibilità di trovare lavoro in Italia, di integrarsi in maniera regolare, di rispettare le leggi italiane. Nel volume racconta l’esperienza personale perché vuole valorizzare la straordinaria generosità che il popolo italiano riesce a dimostrare con il suo comportamento.  

Eltjion Bida, come hai vissuto la tua condizione di clandestino?

Nel complesso bene. Devo solo tralasciare i primi mesi trascorsi a Milano quando, non avendo un lavoro, dormivo nel vagone di un treno e mangiavo alle mense della Caritas. Non è mancato qualche episodio spiacevole ma, subito dopo essere sbarcato in Italia, ho cominciato a lavorare in campagna, nell’Abruzzo. I miei datori di lavoro spesso mi ripetevano: «Eltjon se ti comporterai bene e lavorerai, la gente ti vorrà bene e in Italia troverai sempre le porte aperte». Quelle parole sono rimaste scolpite nella mia mente e ho sempre cercato di metterle in pratica. Negli anni seguenti ho lavorato sodo rispettando le regole. Da clandestino ho avuto modo anche di sperimentare la generosità degli italiani. I miei datori di lavoro mi hanno aiutato a curarmi e a risolvere il problema renale di cui soffrivo da anni. Un brutto episodio è accaduto durante i primi anni della mia vita in Italia, quando però non ero più un clandestino, avevo regolarizzato la mia posizione ottenendo il permesso di soggiorno. Durante un viaggio in treno, nel corso di una procedura di controllo dei documenti, sono stato trascinato a forza giù dal vagone e insultato dai Carabinieri.

Eltjion Bida

Gli immigrati cercano in Italia condizioni di vita migliori. Quale soluzione è possibile trovare per evitare problemi alla sicurezza dell’Italia?

L’accoglienza deve essere anche educazione ed è necessario garantire un lavoro e condizioni di vita dignitose, pretendendo la conoscenza e il rispetto delle leggi italiane. Serve un maggiore controllo sulle realtà più delicate. L’immigrato, regolare oppure irregolare, è spesso un soggetto debole e quindi esposto a rischio di essere reclutato nelle attività illegali. 

Una giusta integrazione degli immigrati può essere una ricchezza economica per l’Italia. Perché non viene perseguita dalla politica?

Sì. Gli immigrati sono spesso impiegati nei lavori rifiutati dagli italiani, e veicolano la cultura del paese da cui provengono. I migliori amici di mio figlio di 11 anni sono due italiani, un rumeno, un filippino, un srilankese. Questo esempio spiega il concetto più di molte parole. Credo che una politica che punti all’integrazione non venga perseguita adeguatamente poiché, purtroppo, tra gli immigrati ci sono quelli che non riescono oppure, in alcuni casi, non sono disposti ad integrarsi e magari rubano, spacciano droga. Tra coloro che fanno politica questo diventa un pretesto per chiudere il discorso dell’integrazione e qualificare l’immigrato come un nemico da temere e da respingere. 

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