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Terzo settore

CASO “VENTISETTE E CINQUE”: RINVIATI A GIUDIZIO I CINQUE INDAGATI

Nel febbraio scorso si era conclusa l’indagine sulla sottrazione indebita di fondi pubblici da parte dei vertici di una cooperativa per l’accoglienza di immigrati e sulla mancanza di controlli che avrebbe permesso e addirittura favorito tale appropriazione ingiustificata.

L’indagine, definita “Ventisette e cinque”, nome che deriva dalla cifra di 27,50 euro, ammontare giornaliero stanziato per l’accoglienza di ogni singolo migrante ai Cas, centri di accoglienza straordinaria, era partita tre anni fa, condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dal PM Andrea Maggioni. Secondo i risultati dell’attività investigativa, è emerso che dai vertici della cooperativa “Vivere qui”, che gestiva cinque Centri d’accoglienza in provincia di Ferrara tra Poggio Reinatico e Vigarano Mainarda, sono stati sottratti tra il 2015 e il 2018, più di quattrocentomila euro di fondi pubblici destinati ai migranti ed utilizzati indebitamente per spese personali, vestiti, viaggi, computer, cene. Inoltre avrebbero ottenuto oltre 15mila euro di fondi non dichiarando le assenze degli ospiti dalle comunità per diversi giorni, e facendo risultare la presenza di migranti in realtà mai ospitati presso i Cas.

Anche i controlli fatti nelle strutture avevano evidenziato criticità dal punto di vista igienico sanitario e della sicurezza. Infestazioni di topi e scarafaggi, mancanza di lenzuola e vestiti per i migranti, contaminazione del cibo, in ogni caso non sufficiente per sfamare gli ospiti delle comunità. E ancora carenza di estintori, elettrodomestici e presidi medici, anche quelli di base, facendo così mancare ai migranti i livelli di assistenza previsti dalla “convenzione”.

(da: pixabay.com)

Cinque le persone indagate: il presidente della cooperativa Thomas Kuma Atongni, la vice-presidente Beatrice Nathalie Djoum, la consigliera Eva Rosa Lombardelli, Valentina Marzola (all’epoca dipendente dell’Asp) e Vincenzo Martorano (dirigente della prefettura). Le accuse sono di truffa aggravata ai danni dello Stato, falsità ideologica e materiale, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e abuso d’ufficio, in un quadro di indagine circostanziato e articolato per i tre responsabili delle comunità di accoglienza e abuso d’ufficio per i due dipendenti pubblici. Questi ultimi non avrebbero preso provvedimenti in riscontro alle anomalie nella gestione dei Cas, anzi avrebbero avvertito i dirigenti dei Centri di accoglienza straordinaria degli imminenti controlli e suggerito la falsificazione dei presenziari.

(da: pixabay.com)

In questi giorni, dopo circa sei mesi dalla conclusione delle indagini è stato richiesto il rinvio a giudizio per i cinque indagati. La data dell’udienza non è ancora stata fissata e notificata ai legali dei cinque accusati.

Questa indagine ha evidenziato sin dal suo inizio, non solo una pratica illecita da parte dei soggetti indagati, e inadeguate condizioni di vita degli immigrati, ma un più profondo problema di natura sociale e morale. Quando l’idea di una vita agiata supera ogni limite etico e di coscienza, quando l’accoglienza altro non è che un affare di soldi, allora perde di significato, scostandosi da ciò che davvero vuol dire accogliere l’altro, chiunque sia, dando così ragione a quanti definiscono quello che si occupa dell’immigrazione un settore marcio, basato su soli interessi personali, sia politici che economici.

Ma il nostro Paese, in particolare attraverso il terzo settore, è ricco di realtà, servizi, comunità di prima o seconda accoglienza che, anche grazie al coinvolgimento di cittadini e famiglie, lavorano seriamente all’accoglienza e all’inserimento sociale e lavorativo degli immigrati.

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