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Terzo settore

ADOZIONI IN ITALIA: I BAMBINI DIFFICILMENTE COLLOCABILI

In Italia per l’adozione di un bambino occorre superare una serie di step burocratici che rende davvero complesso e lungo il percorso necessario per poter diventare genitori.

Il processo, in effetti, parte con una domanda da fare al Tribunale dei Minori, ma non tutti possono accedere a questa prima fase: bisogna infatti essere sposati da almeno tre anni e non separati (neanche di fatto); qualora si fosse sposati da meno di tre anni, la condizione è che si sia almeno conviventi su basi stabili e comprovabili.

Successivamente, la richiesta viene trasmessa dal Tribunale entro 15 giorni ai servizi sociali del comune o territorio di pertinenza della coppia. Da questo momento viene avviata un’indagine sulla vita dei coniugi, sulla sfera psicologica e sociale, e su una serie di altri ambiti, che viene poi trasmessa al giudice.

Questa comunicazione deve avvenire entro 4 mesi, e nei due successivi il Tribunale dovrebbe prendere una decisione in merito all’idoneità della coppia, ma si tratta di tempi teorici, perché in realtà questo iter può durare anche 12-24 mesi.

L’idoneità, se ottenuta, apre allo step successivo, ovvero la ricerca di bambini nelle diverse strutture che possano essere affidati alla famiglia. Si parla, infatti, di affidamento preadottivo, cioè un periodo di “prova” per valutare la compatibilità della situazione familiare che viene a crearsi.

Finalmente, quindi, la famiglia incontra il bambino e, se tutto procede bene, si passa all’adozione.

Oltre all’adozione richiesta all’interno del territorio nazionale, molto ricercata è anche quella internazionale, che prevede più passaggi e difficoltà.

Nonostante le complicazioni appena riportate, le domande di adozione in Italia sono decine di migliaia ogni anno. Numeri molto più bassi, invece, riguardano le richieste di adozione di bambini disabili o con altri problemi di salute.

Si tratta di bambini o neonati che potrebbero dover trascorrere lunghi periodi in ospedale, che richiedono un impegno probabilmente superiore, tenendo presente che la disabilità spaventa.

(da: pixabay.com)

È pur vero, però, che sulla disabilità si sa molto poco.

Per accedere al percorso di adozione, è necessario completare dei corsi di formazione che hanno lo scopo di istruire e rendere pronti i futuri genitori a ciò che aspetta loro, restando certamente un aiuto “teorico”, che può dare un supporto limitato rispetto a ciò che si troveranno a vivere nella realtà. Si tratta di corsi che possono anche durare soltanto un paio di giorni e che non affrontano il tema della disabilità. Per questo, le persone che non hanno un’esperienza diretta con l’invalidità e che, quindi, non conoscono la vastità delle differenti forme di disabilità, da quelle fisiche a quelle cognitive, non ricevendo una formazione in merito, hanno difficoltà e timore ad accettare l’affido e l’adozione di bambini con queste problematiche sanitarie. Nell’immaginario comune infatti, la parola disabilità equivale a difficoltà e questo causa il preconcetto che per accogliere un bambino con necessità speciali, bisogna essere speciali a propria volta, eccezionali.

(da: pixabay.com)

Per questo motivo sono nate delle associazioni impegnate proprio nella ricerca di famiglie disponibili a prendere in affido o adozione bambini con bisogni speciali. Una di queste associazioni è MammeMatte, creata allo scopo di trovare delle famiglie per bambini che hanno forti disabilità, che sono vittime di maltrattamenti o abusi, e che sono ormai considerati grandi, dai 10 anni in su, e che quindi trovano maggiori difficoltà nell’essere adottati.

Un altro progetto è quello supportato dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, insieme al Comune di Torino e all’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza del capoluogo piemontese. Il progetto, “Portami a casa”, dal dicembre del 2019 ad oggi, ha permesso a molti bambini di trovare una casa, e agevolato molte famiglie nel processo di formazione prima e di adozione di questi bambini poi. I risultati di questo progetto sono stati presentati il 10 maggio insieme al libro “Portami a casa, storie di straordinaria accoglienza”, che racconta le esperienze delle famiglie affidatarie

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