Lo scorso 27 maggio, al Forum di Assago, si è tenuta la prima delle due tappe italiane del tour mondiale di Eric Clapton. Un evento attesissimo, che ha visto salire sul palco una vera e propria leggenda vivente della musica, capace di attraversare generazioni con la sua chitarra e la sua voce inconfondibile. A pochi mesi dal suo 80° compleanno, celebrato lo scorso 30 marzo, Clapton ha dimostrato che il tempo può scorrere, ma il talento resta intatto. La sua carriera, tra le più influenti e longeve nella storia del rock e del blues, ha reso questo appuntamento milanese non solo un concerto, ma un pezzo di storia che continua a scriversi dal vivo.
Il chitarrista di Ripley ha dimostrato ancora una volta perché, quando si parla di chitarra — e soprattutto di chitarra elettrica — il suo nome resta una leggenda intoccabile. Il concerto è stato un viaggio nella sua storia musicale e nell’anima più autentica del blues, linguaggio che ha sempre saputo parlare come pochi altri. Non ha avuto bisogno di grandi discorsi o interazioni con il pubblico: a parlare è stata la musica. Con il suo tocco inconfondibile ha attraversato decenni di carriera, regalando momenti di pura emozione con classici intramontabili come Cocaine e Tears in Heaven, passando per le radici profonde del blues con brani come I’m Your Hoochie Coochie Man di Willie Dixon e Before You Accuse Me di Bo Diddley. Un repertorio scelto con cura, che alternava intensità, malinconia e potenza, sostenuto da un suono che solo lui sa rendere così personale.
Ma non è stata solo una celebrazione nostalgica: è stato anche un atto artistico denso di significato. Per metà dello show, il chitarrista ha suonato una Fender decorata con la bandiera palestinese, un gesto silenzioso ma eloquente, in linea con il suo stile: parlare attraverso la musica, non i proclami. Nonostante la scelta di limitare l’interazione con il pubblico, l’effetto sul pubblico è stato potente. Ogni solo, ogni riff, ogni passaggio strumentale era intriso di mestiere e sentimento, come dimostrato anche dalle esecuzioni di due grandi pezzi dei Cream, Sunshine Of Your Love e White Room, autentici simboli di un’epoca che ancora oggi vivono sul suo palco.
La serata è diventata ancora più memorabile grazie alla presenza di una band di altissimo livello, che ha affiancato Clapton con eleganza, precisione e grande affiatamento. Sul palco, insieme a lui, c’erano musicisti del calibro di Nathan East al basso, Doyle Bramhall II alla chitarra, Chris Stainton alle tastiere, Tim Carmon all’Hammond, Sonny Emory alla batteria e le coriste Sharon White e Katie Kissoon. Non semplici accompagnatori, ma veri e propri protagonisti, capaci di costruire un suono avvolgente. Ognuno di loro ha portato in dote una lunga esperienza e un talento fuori dal comune, contribuendo in modo decisivo alla magia di questa serata.
Il più grande chitarrista di tutti i tempi? La risposta, dopo una serata come quella al Forum di Assago, non può che essere affermativa. Non soltanto per la carriera straordinariamente longeva — oltre sessant’anni di musica e ancora oggi capace di riempire arene, coinvolgendo anche nuove generazioni, come dimostrava la presenza di tanti giovani tra il pubblico — ma anche per la sua versatilità. Dal blues più viscerale al rock psichedelico, fino a ballate più morbide e intime, ha saputo attraversare epoche e generi. E poi c’è l’aspetto più profondo, quello che non si misura con i numeri: l’emozione. Clapton ha rivoluzionato il modo di suonare la chitarra, elevandola da semplice strumento d’accompagnamento a protagonista assoluta, diventando fonte di ispirazione per intere generazioni di musicisti. Il suo tocco, il suo fraseggio, la sua capacità di dire tutto senza bisogno di parole lo rendono, oggi più che mai, il più grande interprete di questo strumento.