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Musica

IL TEMPO DI UNA CANZONE; LA POPULAR MUSIC SPIEGATA DA FRANCO FABBRI

Il musicista e musicologo milanese raccoglie i suoi saggi più recenti in un manuale sulla natura della canzone; dal blues al rebetico, dalla canzone napoletana al beat.

Cos’è la popular music? Se intorno alla metà del secolo scorso una parte del mondo accademico non si fosse posta questa domanda, probabilmente non avremo una tale consapevolezza di ciò che ha rappresentato, nella storia, l’evoluzione della musica contemporanea, dal dogma post-romantico all’eterna commedia del blues e del Rock and roll.

Da Theodor W. Adorno a Philip Tagg, il percorso su quella che più tardi sarebbe stata denominata Pop music, nel senso più ampio del termine ha fatto il giro del mondo, analizzando i repertori non scritti delle culture più antiche, registrando i canti tradizionali lungo i campi di cotone, così come nelle carceri della Louisiana, passando per le feste balcaniche e i ritmi africani, diventando una disciplina di studio sempre più ricca e di cui Franco Fabbri, uno dei principali esperti, ne arricchisce il panorama con il suo ultimo lavoro dal titolo, Il tempo di una canzone. Saggi sulla popular music.

Il testo, edito da Jaca Book e presentato a Milano presso la Biblioteca Sormani, raccoglie la summa dei saggi più recenti del grande musicista e conduttore radiofonico, che è stato uno dei fondatori, negli anni ’70, del gruppo prog-folk Stormy Six e della Cooperativa l’Orchestra, una delle prime etichette indipendenti italiane e che ha giocato un ruolo privilegiato nel raccontare in musica le vicende artistiche e politiche di un preciso periodo storico.

Franco Fabbri, che è anche docente all’Università degli studi di Milano e presso il Conservatorio, e amministratore di enti lirici e sinfonici, torna alla memoria al lontano 1981, quando gli studi fecero il loro esordio alla conferenza della IASPM (Associazione internazionale per lo studio della popular music), che si tenne ad Amsterdam.

Fu in quell’occasione che ci s’interrogò direttamente sulla natura dell’aggettivo popular: partendo dalla canzone napoletana di metà ‘800, per poi virare sulla forma canzone americana, del country, del blues, del rebetiko; un genere musicale greco nato tra XIX e XX secolo per raccontare il disagio e l’emarginazione, attraverso il linguaggio musicale. L’analogia del rebetiko rispecchia il valore del Tango per gli argentini, del Blues per gli afroamericani e del Fado per i portoghesi, anche per il sapore provocatorio e autoironico che esso riesce a trasmettere, ma soprattutto esso divenne il corrispettivo europeo del rock e del beat d’oltremanica.

La straordinaria somiglianza che intercorre fra i contesti multiculturali di città come Lisbona, Cadice, L’Avana, Buenos Aires con Londra New York, Istanbul, quasi tutte città portuali, assieme a Napoli, Smirne e Atene, contribuisce a ridefinire quel “triangolo mediterraneo della canzone” e che è uno dei contributi più originali del libro, oltre a, quelle che Fabbri definisce “spigolature” che spaziano analiticamente dallo studio sul sound, per definire un genere preciso (come il surf o il progressive rock), all’analisi sulla natura fisica del suono (in un viaggio che va da Brian Eno a Peter Gabriel, coinvolgendo persino De André).

Lo spazio all’industria discografica lascia spazio anche ad altri temi come quello lo studio dei generi musicali e la sua varietà, che parte dai pensieri sulla musica di Umberto Eco alle ridefinizioni stilistiche individuate da T. W. Adorno.

Tra gli studiosi citati, Fabbri dedica grande spazio a un intellettuale poco noto in Italia, Sidney Finkelstein, che fu responsabile delle elaborazioni teoriche sulla musica ma anche figura di spicco nel Partito Comunista degli Stati Uniti e perciò anche obiettivo sensibile della famigerata commissione McCarthy, che perseguitò gran parte del mondo culturale americano negli anni Cinquanta, alla ricerca delle spie comuniste.
Proprio nel saggio How Music expresses Ideas, Finkelstein, stenuo difensore delle origini del Jazz, sosteneva la tesi, da realismo socialista: “ una musica che si può, e si deve, mettere al servizio della politica di popolo”.

Il tempo di una canzone è anche il tempo che spiega il senso della semanticità della musica, capace di far dialogare il fantasma di Adorno, ma anche di avere un carattere politico, sul significato che di volta in volta viene attribuito ad una particolare successione di note.

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