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Musica

SANREMO: IL CONDOMINIO DEGLI AUTORI

“Una lobby d’autori a Sanremo sta uccidendo la musica”. La riflessione di Pippo Rinaldi, in arte Kaballà, riaccende il dibattito sullo stato della musica nell’Italia del dopofestival.

“Una lobby d’autori a Sanremo sta uccidendo la musica”. La riflessione di Pippo Rinaldi, in arte Kaballà, riaccende il dibattito sullo stato della musica nell’Italia del dopofestival.

Si è concluso il 72esimo Festival della canzone italiana e, come da programma, i commenti e i complimenti viaggiano di pari passo alle polemiche. Ormai il telo di Arianna del politically correct avvolge qualsiasi cosa faccia spettacolo e tendenza, aprendo il sipario sul palcoscenico delle resilienze. Si è parlato tanto del discorso di Drusilla Foer e delle parodie di Fiorello, per non parlare delle polemiche attorno alla favola calabro-trans di Checco Zalone. Peccato che ogni anno l’elemento su cui si fa meno attenzione sia la musica; quella musica stanca che sta barcollando, anche grazie al Festival di Sanremo.

Lo dicono tanti addetti del settore da molto tempo, ma è il paroliere Pippo Rinaldi, in arte Kaballà, a darne un quadro più che mai attuale. Del resto l’autore siciliano collabora con i più disparati nomi della scena musicale italiana, da Mario Venuti a Nina Zilla, Anna Oxa, Mietta Marco Mengoni, Alex Britti, Antonello Ruggero e persino Robbie Williams ed è uno che il palco dell’Ariston lo conosce molto bene. Probabilmente egli ha una prospettiva più ampia dell’esercito di autori che fanno squadra per comporre il nuovo tormentone della musica italiana.

Il problema è che troppe vi sono troppe teste che si ripetono, questo ha determinato quello che Rinaldi definisce; “una sorta di condominio, con due autori che scrivono quattro brani a testa. Esiste un Grande Fratello che monopolizza il Festival e i talent, continua il paroliere catanese, dove chi sta fuori non viene neanche calcolato”.

Le conseguenze di una tale omologazione sono evidenti nella musica degli ultimi anni e anche nel modo di ascoltare musica. La stessa velocità di presentazione di un brano, da parte di Amadeus, diventa inevitabile quando hai sette autori che devono scrivere il brano di Achille Lauro o di Noemi. Poco importa se il nuovo brano segue la stessa struttura melodica dei brani precedenti e se lo stesso Lauro predilige la performance pseudo-provocatoria, piuttosto che l’intonazione della voce: “Io performo”, dice Lauro; “fallo in bagno a casa tua, dovremmo rispondergli”, perché il contributo dell’Harlem Gospel Choir non può mascherare un’evidente incapacità musicale.

Ma egli è uno dei troppi esempi di come ormai il business del mercato musicale, che è lecito e doveroso, abbia puntato tutto sulla sola presenza scenica e la necessità di sconvolgere a tutti i costi. Bisogna ricordare però che da David Bowie a Iggy Pop, da Freddy Mercury a Renato Zero la provocazione dell’immagine seguiva una linea dettata dal linguaggio musicale di personaggi che erano al tempo stesso autori e compositori e rischiavano in prima persona per stravolgere il costume, l’etica e la morale.

Qui abbiamo a che fare con puro conformismo; tutto ciò che può attirare pubblico diventa un marchio, un simbolo e coinvolge la nuova scena come Mahmood, Michele Bravi, i Maneskin, Rkhomi, La Rappresentante di Lista, ma trascina disperatamente anche i grandi come Elisa, Gianni Morandi, Fiorella Mannoia, Orietta Berti, verso un continuo inseguire i linguaggi del momento, anche se sono privi di personalità e a volte orrendi.

L’effetto condominio, spiega Kaballà, è uno specchio del paese reale, che parte da una politica, gestita da dilettanti e si ripercuote nella società. Se i grandi, che un tempo erano le guide, si lasciano guidare da chi ha poco o niente da dire, anche la cultura e l’arte diventeranno sempre di più una merce di scambio fra potenti ed è in quel momento che la satira, la provocazione, la stessa rivoluzione culturale non farà più “paura”.

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